Martina Gerosa, consulente del servizio di FMC, e i primi casi presi in carico.
“Il sapere dell’esperienza ha un ruolo importante nella creazione della conoscenza”. Per raccontare il Centro Famiglie+ cita il sociologo Paolo Jedlowski, Martina Gerosa, architetto-urbanista e Disability & Accessibility manager, una delle prime consulenti attive all”interno del Centro Famiglie+. E non potrebbe essere altrimenti per chi come lei ha fatto dell’ascolto, del confronto e della tessitura di reti la propria vita e la propria professione. “Mai e poi mai mi sarei immaginata da laureata in Architettura, specializzata in urbanistica, in politiche integrate per la riqualificazione delle periferie, di arrivare dove sono oggi, passo dopo passo”. Ricerca, creatività e coraggio nel trovare nuove soluzioni e immaginare altri mondi, nuovi e possibili, ricorrono nel suo percorso personale: dall’architettura alle istituzioni pubbliche, dalla collaborazione con un’azienda in fase di lancio specializzata negli ausili all’udito (dopo esserne stata cliente) alla ricerca attiva sui temi della disabilità, dal corso di Disability & Case manager della Cattolica di Milano fino alla recente consulenza per la casa editrice La Meridiana per costruire la prima Fiera nazionale dei Lettori Alla Pari, il festival del libro accessibile (a settembre a Terlizzi, BA), a partire dall’esperienza che la casa editrice pugliese ha sviluppato con realtà bolognesi, il CDH-Accaparlante e l’associazione Arca-Arcobaleno: la collana PariMenti dedicata alla Comunicazione Aumentativa Alternativa con una particolare attenzione ai giovani adolescenti. Così come ricorrono nel racconto dei primi casi di cui Martina si è occupata per il Centro Famiglie+, il servizio di Fondazione Mantovani Castorina per supportare le persone con disabilità e i nuclei familiari che insieme a loro affrontano questa sfida.
“Nelle sfide della disabilità si incrociano temi, nodi e problematiche, che spesso le stesse persone coinvolte non vedono. Essere troppo addosso al problema non ti dà la possibilità di mettere a fuoco in toto la situazione e il contesto, di avere lo sguardo in avanti e prefigurarsi quello che accadrà dopo – racconta – . E’ importante avere idea di essere su una strada per scorgere con cura i paesaggi che si hanno di fronte, vedere e immaginari gli incroci, le possibili soluzioni. Non è però una strada a senso unico: il pensiero deve essere circolare”. Proprio come si cerca di fare a Famiglie+, mettendo a confronto il sapere degli studiosi con quello dell’esperienza, citato in apertura.
“Non ci sono risposte univoche e uniche. Di volta in volta c’è da dare grande ascolto, possibilmente non solo a una persona ma a tutto il nucleo di familiari e a coloro che gravitano intorno a chi ha una disabilità, così come agli educatori, ai medici. Tutti possono essere risorse da scoprire e valorizzare, mettendosi insieme con l’”ascolto attivo”, per citare la grande maestra di antropologia culturale e urbana, la sociologa Marianella Sclavi: ci si deve mettere nei panni dell’altro, uscire dalla propria cornice di pensiero per capire le ragioni dell’altro senza avere fretta di arrivare alle conclusioni, anche con senso dell’umorismo e creatività”.
In queste coordinate di pensiero e di azione Martina ha seguito i primi casi di affiancamento arrivati a Famiglie+: “Spesso i problemi delle persone con disabilità esulano dal campo prettamente medico e sanitario: c’è tutta un’area di bisogno che va oltre le necessità legate alla salute, a tecniche e tecnologie degli ausili, ma afferiscono al contesto e ai contesti in cui si vive. Casi in cui la compresenza di problemi diversi deve essere affrontata in toto, nella sua complessità, tenendo conto di tutti gli aspetti, perché una situazione raggiunga uno stato di equilibrio che non sarà mai definitivo, ma in continua evoluzione”.
Rientrano in questo quadro le prime situazioni affrontate, legate a minori con disabilità di famiglie straniere.
“Pur essendo ogni caso una situazione a se stante, mi sono accorta che nei casi di minori stranieri con disabilità ci sono alcune analogie. Mi sono resa conto che questo è un territorio assolutamente scoperto – spiega – . Una famiglia in cui gli adulti devono lavorare oltre la misura per mantenere un nucleo familiare magari molto numeroso avrà meno tempo per supportare il proprio bambino con disabilità, meno occasioni ed energie (fisiche, mentali, emotive così come economiche). Nel caso in cui una famiglia non è dentro il tessuto sociale non si conoscono tanti diritti e possibilità e maggiori sono le difficoltà da affrontare rispetto a una famiglia che ha radici nel territorio in cui abita, che ha una rete parentale e contatti”.
La parola d’ordine in questi casi ma anche in generale è sempre tessere reti e relazioni: “Non basta un singolo sostegno per crescere un bambino, c’è bisogno di tanti sostegni. Risposte a problemi diversi non si possono dare in solitudine ma con una squadra. Per questo la vera forza è la rete e la flessibilità di attivarsi, di volta in volta, riconoscendo nuovi incroci e svolte, creando nuovi ponti, nuove connessioni, nuove strade e nuovi destini. Perché camminando si traccia il cammino”.