Quei diritti invisibili in ospedale

25 Set 2014 | News

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di Franco Bomprezzi

21.9.2014

Osservate la foto: è una delle diapositive più emozionanti scelte da Luigi Vittorio Berliri, della cooperativa sociale Spes contra Spem, per raccontare la genesi della “Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale” (la potete scaricare in pdf a questo link) presentata ieri a Milano, nella sede della Regione. Si vede il volto di Tiziana, una ragazza disabile dal sorriso dolce ed enigmatico, morta il 12 dicembre 2004, dopo aver trascorso un mese in un ospedale di Roma: entrata per una banale influenza, non riuscendo a comunicare in modo “normale”, tra piccole e grandi disattenzioni e incomprensioni, è stata portata via da una polmonite contratta in corsia. Una storia triste, che non è mai diventata però il classico caso di “malasanità” preda dei media. Ma ha ottenuto di più. Ha fatto germogliare un progetto culturale solido e importante, culminato nella costruzione di una “Carta dei diritti” che adesso, non senza fatica, sta entrando nella cultura e nei comportamenti di molti ospedali italiani.

Sono in discussione i diritti essenziali: l’accesso alle cure e ai processi diagnostici, la libera scelta delle cure, l’informazione, il rispetto dei tempi differenti, il diritto a evitare le sofferenze inutili, per citare solo alcuni degli articoli della Carta, che contiene non solo i principi, ma anche gli esempi concreti della specifica esigenza di persone con disabilità che molto spesso non sono in condizione di esprimersi, di comprendere, di comunicare. La Carta può vivere solo se fa buoni incontri, se diventa uno strumento di formazione e di informazione. Ieri, per magìa, abbiamo vissuto alcune ore in un mondo decisamente migliore rispetto a quello che incontriamo quotidianamente. C’era infatti l’esperienza splendida (e purtroppo ancora non replicata abbastanza) del Dama (Disabled Advanced Medical Assistance), il servizio di accoglienza specialistica all’Ospedale San Paolo di Milano, che rappresenta, grazie alla collaborazione tra i volontari di Ledha e i medici del centro, un punto di riferimento ormai imprescindibile. Il racconto di Filippo Ghelma, responsabile del servizio, ha ripercorso la storia di un’idea innovativa dal 2000 in poi: la personalizzazione, l’accoglienza, l’ascolto delle persone e dei familiari valgono tanto quanto le competenze tecniche e specialistiche e consentono la costruzione di un bagaglio di esperienze capace di fornire all’intera struttura ospedaliera le indicazioni migliori per il trattamento delle singole persone, nel caso di un ricovero o di un intervento chirurgico.

Ma c’era anche il lavoro della fondazione Mimmo Castorina (nella quale, tra l’altro, il presidente onorario è il nostro Antonio Giuseppe Malafarina) che sta lavorando alla realizzazione di un centro sperimentale per la disabilità grave. Perché le persone sono le medesime prima e dopo l’impatto con le cure, e la disabilità non coincide con la malattia, anzi. E poi la fondazione Ariel, impegnata sul terreno delicato e strategico della disabilità dei bambini, con l’intervento emozionante di Nicola Marcello Portinaro, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia Pediatrica dell’Istituto Clinico Humanitas. E poi ancora: lo sfruttamento delle tecnologie, spesso a basso costo, che può condurre a costruire attorno alla persona condizioni tali da consentirgli livelli notevoli di autonomia e di indipendenza (come hanno dimostrato gli interventi dei ricercatori della cooperativa Sim-patia). E infine le parole sagge ed esperte di Angelo Mantovani, animatore del Dama ma soprattutto adesso proiettato verso il futuro: “Costruiamo un consorzio, non andiamo in ordine sparso, da soli non ce la possiamo fare”. Insomma una rete di relazioni, di esperienze, di impegno, di umanità e di entusiasmo. Il commento di Antonio Giuseppe Malafarina  è la sintesi perfetta di un incontro esemplare: “Milano può tornare a essere città dal cuore in mano se pone relazione tra persone, ambiente e vivibilità”. Già. E non solo Milano.